Rassegna stampa delle ultime notizie scientifiche italiane ed estere:
LA MEDITAZIONE E’ ANTIDEPRESSIVA
La nuova conferma degli effetti sul cervello della meditazione viene dall’Università di Oxford: essa si è dimostrata un’efficace arma per combattere le ricadute dopo una depressione. I ricercatori si sono concentrati su pazienti curati con successo e andati incontro ad una terapia, chiamata «Mindfulness Based Cognitive Therapy» (MBCT), che in un certo senso combina la terapia cognitiva con la meditazione, insegnando a riconoscere lo schema di funzionamento della propria mente e dei propri pensieri, al fine di rispondere in modo costruttivo ad eventuali spirali di negatività verso il basso.Analizzando 1200 pazienti con depressione grave di nove trial clinici, condotti nel Regno Unito, Canada, Svizzera, Belgio e Olanda, i ricercatori hanno visto che, tra coloro che avevano seguito la terapia MBCT (sessioni di gruppo di due ore a settimana per due mesi e un’intera giornata alla quinta settimana), il 38% aveva una ricaduta entro 60 settimane di follow up, contro il 49% di coloro che non erano andati incontro a questo tipo di terapia. Chi aveva meditato aveva il 31% di probabilità in meno di recidiva durante la 60 settimane di follow-up rispetto agli altri…(La Stampa)
“MC1R” E’ IL GENE DELLA GIOVINEZZA
Se alcune persone sembrano più giovani della loro età devono ringraziare un gene, lo stesso finora noto per essere collegato a pelle chiara e capelli rossi. Una variante dello stesso gene ottiene però l’effetto contrario e fa sembrare più anziani. La scoperta si deve al gruppo coordinato da Manfred Kayser, dell’università olandese di Rotterdam, che l’ha pubblicato nella rivista Current Biology. ”Per la prima volta è stato scoperto un gene che spiega in parte perché alcune persone sembrano più giovani e altre più vecchie rispetto alla loro età” ha detto Kayser. I ricercatori hanno analizzato il Dna di 2.600 olandesi e hanno stimato l’età di queste persone in base alle fotografie dei loro volti. Le persone con il gene MC1R sembravano tutte più giovani, mentre i segni dell’età erano più evidenti nelle persone con la variante dello stesso gene, che dimostravano in media due anni in più rispetto alla età reale. Secondo gli autori non è solo questione di apparenza: sembrare più giovani potrebbe avere un legame anche con lo stato di salute. Oltre ad avere un ruolo nel colore della pelle, il gene MC1R è implicato infatti anche in alcuni processi biologici, come la riparazione dei danni al Dna, e potrebbe essere questo il motivo per cui il gene si collega all’aspetto giovanile. I ricercatori hanno in programma di cercare altri geni che influenzano l’età che si dimostra e pensano che potrebbero svelare anche i segreti del buon invecchiamento.”Crediamo – ha detto uno degli autori, David Gunn, dell’azienda Unilever – che l’età apparente sia uno dei migliori e più emozionanti modi per misurare se le persone stanno invecchiando ‘bene’ e ci auguriamo possa portare a ulteriori passi avanti nella ricerca in questo campo”…(Ansa)
IL ROSMARINO MIGLIORA LA MEMORIA
Aveva quindi ragione William Skakespeare quando, nell’Amleto, faceva dire ad Ofelia: “Ecco del rosmarino, questo è per il ricordo”. L’aroma di questa erba, infatti, aiuta gli anziani in particolare nel tenere a mente le cose da fare, come ad esempio i medicinali da prendere a un preciso orario. Lo dimostra una ricerca della Northumbria University, nel Regno Unito, presentata alla British Psychological Society’s Annual Conference a Nottingham. Per lo studio 150 persone over 65 sono state suddivise in due gruppi: il primo è stato posizionato in una stanza nella quale erano stati diffusi oli essenziali di lavanda o rosmarino, il secondo in una stanza in cui non vi era alcun aroma. I partecipanti sono stati poi sottoposti a dei test tesi sopratutto a valutare la cosiddetta memoria prospettica, cioè quella proiettata alle cose da fare. Ad esempio è stato chiesto loro di ricordare di trasmettere un messaggio in uno specifico momento o cambiare procedure quando accadeva una particolare cosa. È stato effettuato anche un test dell’umore, prima e dopo l’ingresso nelle stanze. I risultati hanno mostrato che il rosmarino migliorava significativamente la memoria prospettica e la lucidità. Mentre la lavanda aumentava calma e contentezza… (Ansa)
RITORNO AL FUTURO
Camminare è come viaggiare sulla nostra linea del tempo, in cui il passato è rappresentato dietro di noi e il futuro davanti a noi. È quanto emerge dallo studio “Walking on a Mental Time Line: Temporal processing affects step movements along the sagittal space”, realizzato da Luca Rinaldi e Luisa Girelli del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca I ricercatori hanno indagato come l’esperienza sensori-motoria legata al cammino porti a rappresentare il tempo secondo precise coordinate spaziali attorno al nostro corpo. Quando camminiamo, infatti, lasciamo fisicamente il passato alle nostre spalle e avanziamo verso il futuro: in questo senso, anche il nostro parlare del tempo in termini spaziali potrebbe avere origine da questa esperienza corporea»… (Le Scienze)
SOLO BEI RICORDI…
Il cervello umano è programmato per ricordare più a lungo le emozioni positive, mentre tende a far sbiadire con maggior velocità le emozioni negative: a sostenerlo è un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Timothy Ritchie del Dipartimento di Psicologia dell’University of Limerick (Irlanda), secondo cui questo processo servirebbe a preservare la felicità, favorendo il superamento dei momenti negativi. Lo studio mette per la prima volta in evidenza che questo fenomeno che porta al veloce sbiadimento dei ricordi spiacevoli riguarda tutte le culture e servirebbe “ad aiutare le persone a elaborare le negatività e ad adattarsi ai cambiamenti che avvengono nel proprio ambiente, mantenendo una visione positiva della vita” e, quindi, a favorire il superamento delle difficoltà… (Il Sole 24 Ore)
LA PRIMA IMPRESSIONE CONTA, ECCOME!
I pregiudizi si leggono in faccia. E’ questa la conclusione cui sono giunti i ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di York, che in uno studio pubblicato su Pnas hanno analizzato i fattori determinanti nella formazione della cosiddetta “prima impressione”, il giudizio che ognuno di noi formula di una estraneo la prima volta che ne osserva il volto. Prendendo in considerazione ben 65 caratteristiche del viso e valutandole in 1000 fotografie di persone diverse reperite sul web gli autori dello studio sono riusciti a mettere a punto modelli di volti che avrebbero dovuto corrispondere a una determinata prima impressione. Chiedendo a degli osservatori di esprimere un giudizio a prima vista su questi volti è stata confermata l’importanza dei tratti del viso nel determinare la prima impressione data agli estranei. Ricerche precedenti avevano individuato i 3 aspetti generali su cui si basa il giudizio dato ad una persona in base al suo volto: l’approcciabilità– ossia quanto una persona dia l’impressione di voler essere d’aiuto o di voler fare del male – la dominanza – cioè quando una persona potrebbe aiutare o fare del male – e la giovinezza-attraenza – un parametro che probabilmente corrisponde al giudizio sulla possibilità che un estraneo possa essere interessante per un eventuale rapporto sentimentale o, al contrario, un rivale in amore. Questo studio è però andato oltre. “La prima impressione che ci creiamo degli altri è talmente intuitiva che ci sembra non richieda alcuno sforzo – spiega Clare Sutherland, coautore della ricerca – Credo che il fatto di riuscire a ricondurre tutto ciò a un modello scientifico sia affascinante”. Non mancano, però, nemmeno le implicazioni pratiche. “Dimostrare che anche caratteristiche di un volto ritenute assolutamente arbitrarie possono influenzare l’impressione delle persone suggerisce che scegliere accuratamente una fotografia potrebbe essere fondamentale per la prima impressione che si dà agli altri”, spiega Richard Vernon, primo autore dello studio. Meglio quindi stare ben attenti alla fotografia che si sceglierà di allegare al prossimo curriculum vitae?.. (Il Sole 24 Ore)
CARNE ROSSA VS L’OMS
Da una parte gli scienziati che ammoniscono sui rischi di un dieta troppo ricca di carne, dall’altra gli allevatori, che ribadiscono che questo alimento è un’ottima fonte di proteine e di reddito. Lo scontro a distanza, iniziato da quando l’Oms ha inserito le carni rosse e lavorate nel gruppo delle sostanze più cancerogene, si è ripetuto involontariamente, con una campagna degli allevatori europei e un nuovo rapporto negativo che viene dagli Usa. A ribadire i pericoli per la salute è stato un rapporto di American Institute for Cancer Research e World Cancer Research Fund, che ha compulsato 89 studi precedenti, con dati su 17,5 milioni di adulti tra cui 77mila con un cancro allo stomaco, alla ricerca dei fattori di rischio per il tumore. Ha più probabilità di avere un cancro allo stomaco, si legge, chi assume tre porzioni di alcol al giorno, 50 grammi di carni lavorate o mangia cibi conservati con il sale. Anche il peso ha una sua influenza, con il rischio che cresce del 23% ogni cinque unità di indice di massa corporea. “Abbiamo trovato anche segni – scrivono gli autori – che consumare carne e pesce grigliati possa contribuire al rischio, mentre il consumo di frutta, specie di agrumi, può prevenirlo. Da qui la reazione degli allevatori UE. Giornate di porte aperte nelle aziende, ricette facili e veloci, dimostrazioni culinarie degli chef, ma anche video e dibattiti sui social media, depliant e concorsi fotografici. Riparte da qui l’offensiva degli allevatori europei per aumentare il consumo di carne, con una maxi-campagna informativa di due anni per far conoscere i benefici di una dieta equilibrata, le norme ambientali e di benessere animale che sono tenuti a rispettare, l’impatto per la crescita e l’occupazione… (Ansa)
IL PERCORSO DELLE PAROLE
E’ stata realizzata la prima mappa cerebrale delle parole e dei significati, è un ‘atlante semantico’ che mostra per la prima volta come il cervello sia organizzato in ‘isole’ di parole raggruppate per significati. L’atlante, che ha conquistato la copertina della rivista Nature, si deve al gruppo di ricerca guidato da Jack Gallant, dell’università della California a Berkeley, analizzando l’attività cerebrale di volontari che ascoltavano dei racconti.
Le mappe del cervello di ogni individuo hanno dimostrato di essere molto simili l’una con l’altra permettendo di creare così una mappa ‘unica’ ma, spiegano i ricercatori, i 7 volontari condividevano tutti un’analoga formazione culturale. Per capire se le funzioni cerebrali possano essere distribuite in modo differente in base alla cultura o alla differente lingua lo studio punterà in futuro ad analizzare persone di diversa estrazione sociale e di lingua… (Ansa)
(a cura di Beatrice Pallotta)